L’applicazione dell’intelligenza emotiva nei team si basa su sei principi, facili da descrivere e non impossibili da praticare se utilizzeremo le riunioni e le varie interazioni come occasioni di allenamento. Di seguito ecco i principi con una breve descrizione e un consiglio operativo: 

1) Le emozioni sono informazioni.

Quando proviamo un emozione spiacevole o piacevole, dietro c’è un messaggio. Uscire da un meeting con lo stomaco chiuso o da una riunione con più energia di quando ci siamo entrati sono segnali che il nostro corpo ci fornisce, a volte anche a livello inconscio. Il nostro talamo coglie informazioni e le trasferisce anche senza che ci sia stato un processo di razionalizzazione. Questo processo è una sintesi, non mediata dal paradigma razionale, del giudizio su ciò che sta accadendo.

Chiaramente non dobbiamo necessariamente fare ciò che ci dicono le emozioni ma almeno inserire nel processo decisionale. Domandarci più spesso cosa stiamo provando, quindi, è una ottima abitudine di intelligenza emotiva.

2) Non possiamo ignorare le emozioni.

Le emozioni sono reazioni chimiche. Per questo motivo la famosa richiesta di lasciare le emozioni fuori dall’ambiente di lavoro è irricevibile. Non possiamo svuotarci della chimica che sta alla base della vita umana. Quando andiamo in sequestro emotivo, ad esempio, il nostro corpo produce energia e i segnali razionali della corteccia sono inibiti.

Questo è un meccanismo salva-vita: se percepiamo pericolo, il nostro corpo ci mette nelle condizioni migliori per reagire e non perderci in elucubrazioni sterili. Le emozioni quindi sono un qualcosa di reale e modificano la chimica del nostro corpo.

3) Possiamo provare a nascondere le emozioni, ma non siamo coì bravi come pensiamo di essere.

Lo psicologo statunitense Paul Ekman ha scoperto come, nel primo secondo da un avvenimento, l’essere umano non possa controllare le proprie micro espressioni facciali. Questa teoria è di forte rilevanza per chi lavora in azienda perché se vogliamo davvero sapere cosa prova una persona non possiamo perdere l’espressione del viso nel primo secondo dopo la comunicazione.

Non basta quindi chiedere ai collaboratori cosa ne pensano o cosa provano ma dobbiamo osservare le reazioni. Concretamente, quindi, se dobbiamo comunicare qualcosa di importante è meglio farlo (quando possibile) in presenza, senza perdere di vista il viso dell’altra persona. L’email, le chat o gli SMS non ci aiutano a capire, il telefono è meglio perché almeno ci fornisce il tono di voce ma comunque insufficiente. Ecco quindi che anche quando pensiamo a lavoro remoto o smart working collegarsi col video aiuta la comprensione.

4) Le emozioni sono contagiose.

Tutti sanno che le emozioni piacevoli si trasmettono, il grande classico è la risata: senti qualcuno ridere e viene da ridere anche a te. Quello su cui non tutti hanno ragionato è che questo principio è vero anche per le emozioni spiacevoli. Questo è il motivo per cui un capo ansioso rischia di creare un ufficio ansioso, oppure un leader nervoso può influenzare negativamente lo stato d’animo dei collaboratori. Ci siamo già detti che non possiamo fingere, che quello che proviamo passa all’esterno. Ognuno di noi è diverso e ognuno avrà tecniche e modalità diverse per entrare nei giusti stati d’animo. L’importante, in ogni caso, è che ci sia coerenza tra quello che diciamo e quello che proviamo. Non possiamo fingere o mascherare le nostre emozioni, dobbiamo farcene carico e trasformarle, perché quello che proviamo ha un impatto anche su quello che provano coloro che ci stanno intorno.

5) Le emozioni seguono sequenze logiche.

C’è la diffusa convinzione che le emozioni siano il contrario della razionalità e quindi siano irrazionali. Nella realtà, la maggior parte delle reazioni emotive nasce da una percezione, quindi ha una motivazione percepita come logica. Solo una piccola parte della popolazione ha reazioni emotive che potremmo definire patologiche. Se cerchiamo di capire il comportamento delle persone col solo paradigma razionale potremmo arrivare a pensare che le persone siano folli. Se vogliamo capire qualcosa in più delle persone è importante affiancare al paradigma razione quello emotivo.

Dobbiamo imparare a passare dal giudizio alla comprensione, provare a chiederci cosa può aver scatenato quella reazione. Non è necessario farlo ogni volta o con tutti, ma se vogliamo affrontare le emozioni con intelligenza, quando vediamo una reazione dobbiamo abituarci a capire cosa c’è dietro.

6) Le decisioni devono incorporare le emozioni per essere efficaci.

Se prendiamo una decisione senza tenere in considerazione le emozioni, il rischio è che questa non sia sostenibile, così come prendere decisioni in preda ad un sequestro emotivo può portare a risultati discutibili. È una buona abitudine di intelligenza emotiva quindi, quando si analizzano i pro e contro di una situazione, inserire anche gli impatti emotivi che ci aspettiamo su di noi e sugli altri. Inoltre, quando siamo in presenza di situazioni che generano una forte emotività (anche piacevole, a volte l’euforia non è amica della realtà…) poniamo spazio tra l’evento e la nostra reazione Se possiamo, proviamo a dividere la discussione dalla decisione, il brain storming dalla fase operativa, rimandiamo un meeting, o una crucial conversation, di alcune ore o al giorno successivo se questo può aiutare a sterilizzare l’emotività.

Puoi approfondire questi temi nell’articolo “Come usare l’Intelligenza Emotiva per gestire lo stress in maniera più efficace” nel nostro blog.